IL Premio Le rosse pergamene non può dimenticare , tra i tanti poeti che hanno aderito al Blog, il poeta MAURO MILESI che per molti anni è stato presidente di Giuria del Premio.
Oggi non è più con noi ma sappiamo che avrebbe voluto fortemente essere con noi a testimoniare la volontà di PACE.
Riporto allora la sua Poesia IL FILO DEL SILENZIO, con semplicità come se fosse insieme a noi a parlare di poesia.
MAURO MILESI
Il filo del silenzio
Vagheggio l’irrealtà
di un sogno miracolo,
dove l’aria non si tagli
con le lame del dolore,
e non pianga la bandiera della pace,
non è abbastanza
il mondo che mi circonda,
legato ai cuori
dal filo di fauci di leoni,
dove l’uomo si perde
nel buio spaziotempo,
vagheggio l’approdo all’isola che non c’è
per immergermi nelle stelle
del suo mistero,
ma non basta correre
di là dal mare
e volare più su del cielo
per fuggire il vuoto,
e imparare a esplorare
il circolo senza fine dell’Io.
Mi fa orrore il fosforo bianco
che incendia e sfarina
la carne dei bambini,
mi fa orrore il fanciullo che esplode,
mi terrorizzano gli specchi spenti,
la parola guerra è uno specchio spento,
il fanciullo con gli occhi succhiati da mosche
è uno specchio spento,
le nemesi storiche
sono specchi spenti,
è uno specchio spento
il fabbricante d’armi,
il mercato è specchio spento,
e se l’esistenza è un mercato
diamogli un cuore;
se un filo di silenzio
ci cuce la bocca
e ci lega a un futuro senza volto
tagliamo quel filo
e ridiamo alla nostra voce afona
l’urlo ribelle delle nostre coscienze,
solo così
riappariranno tracce di baci in questo mondo evaporato.
(20 ottobre 2005 )
Come per Mauro Milesi mi sento in dovere di ricordare, con i versi che forse lui preferiva, il poeta-antropologo Gilberto Mazzoleni.
Nel novembre del 2013 nel Convegno “Mi faccio vivo”, che organizzai in suo onore
– ormai era molto malato – nella famosa Aula V della Facoltà di Lettere alla Sapienza,
per primo all’ Università di Roma, lanciò la necessità culturale e l’esigenza sociale di un Nuovo Umanesimo. Europa e Cultura , Cultura in Europa divenne il percorso che abbiamo portato avanti con impegno.
Lo ricordiamo perciò con la breve poesia che mi dette una mattina di maggio
del 2013 nella scalinata di Lettere, luogo d’incredibili incontri culturali nella storia della Facoltà. Di seguito ripropongo anche l’intervista che dette il via al percorso culturale Europa e Cultura verso un Nuovo Umanesimo nella Facoltà di Lettere
della Sapienza a Roma.
Premio Le rosse pergamene OMAGGIO ALLA CARRIERA 2009
GILBERTO MAZZOLENI
Siamo e non siamo
che non ci appartengono
e in un concerto privo
per noi di senso
siamo e non siamo
L’umana coscienza nostra
non è buona amica
e ci fa evadere il senso
che ci possiamo dare:
AMARE, AMARE, AMARE
Roma 26 maggio 2013
Dal vello al veltro
«Solo un nuovo Umanesimo ci salverà».
Intervista a Gilberto Mazzoleni, poeta antropologo
di Anna Manna
Parlare con il Poeta antropologo Gilberto Mazzoleni significa partire con la fantasia per mondi lontani, terre esotiche, villaggi sperduti nel mondo. Gran viaggiatore, per motivi professionali, ha fatto del viaggio, della curiosa rilettura di culture diverse dalla nostra cultura occidentale, una ragione di vita e di professionalità.
Come ha vissuto generalmente la cultura occidentale l’impatto con culture lontane, diverse dalla nostra?
“Nel corso del XX secolo l’Occidente scientista, in omaggio alla cosiddetta decolonizzazione, ha scoperto – dopo la dignità d’arte dei manufatti- anche il valore poetico dei testi prodotti da orizonti culturali altri e remoti.
Da qui le analisi in chiave critico-letteraraia non soltanto di una produzione più esplicitamente lirica (dalle composizioni di antichi autori cinesi ai blues afro-americani) ma anche di testi mitici e formule rituali. E’ così accaduto che il letterato europeo ha spiazzato per così dire antropologi e storici delle religioni.”
Ma in te il poeta e l’antropologo si equivalgono oppure sono in lotta tra loro, in competizione?
“Nel mio libro “Identità, contributo a un disciplina del confronto e della riflessione “Bulzoni editore mi propongo di verificare la legittimità etico-professionale di una sovrapposizione di codici ( quello antropologico e quello poetico) che si verifica allorché l’antropologo in prima persona sperimenta (per se stesso) il visto ed il sentito sul campo: e dunque fa poesia. Per quanto mi riguarda non ritengo incompatibile in assoluto la cosiddetta osservazione oggettiva e la rilettura personale del vissuto. Personalmente, nelle mie esperienze sul campo, ho sempre teso a cogliere le concrete aspirazioni e le umane cadute, le travagliate opzioni e le ingegnose evasioni : ovvero l’umano voluto e tentato, colto al di là della pura erudizione e della sperimentazione ludica.
E’ probabile –e i ricordi di me adolescente lo confermerebbero– che vissuto e pensato, pensato e cantato hanno radici lontane e comuni in me. Al punto che se dovessi rinunciare a una delle mie due anime, risulterei così menomato da dovere rinunciare –ove possibile- ad entrambe”
Dunque hai cominciato da molto giovane a sentirti poeta oltre che ad incuriosirti di tutto?
Non mi piacciono i bilanci, specialmente quando sono stilati dall’interessato. Ma non posso fare a meno di ricordare che quello del comporre in versi si è rivelato un mio precoce impulso, favorito da un ambiente familiare ricco di stimoli e alimentato da varie esperienze.
Sono cresciuto con la poesia. Mi spiego meglio. Non sapevo ancora leggere, e mio padre –la sera– mi leggeva con tenero garbo i versi di Dante, Leopardi e Belli.
Io lo ascoltavo affascinato anche quando non comprendevo qualche parola. Crescendo ho ampliato il repertorio delle mie letture: Porta e Pascarella, Foscolo e Pascoli, e poi Lorca, Majakovskij, Esenin e i poeti sudamericani.
Ma, ormai ventenne, non avrei mai pensato che un giorno mi sarei impegnato in prima persona. Allora ero affascinato dalla pittura (ho esposto ad una Quadriennale di Roma) e dal teatro (ho diretto il Centro universitario teatrale dal 1961 al 1964).
Ma, ormai laureato, i confronti suggestivi con Natalino Sapegno e Giuliano Manacorda mi hanno aiutato ad incamminarmi -sempre meno timidamente– sulla via delle emozioni ripensate e cantate.
Da allora, diciamo dagli anni Settanta, la poesia e l’antropologia mi hanno stimolato, impegnato e confortato. E in un saggio del 2002 ho cercato di spiegare i rapporti –che almeno per me– sostengono e completano reciprocamente questi due strumenti conoscitivi.
Ricordo anzi che circa dodici anni fa ho sollecitato l’A.I.S.E.A. ad organizzare un convegno sul tema “Antropologia e Poesia”.
La poesia nella tua vita è stato un limite alla conoscenza della realtà oppure uno sconfinato volare?
È stato uno stimolo ad andare oltre.
Hai imparato dalla natura, dal contatto con la natura oppure hai plasmato la visione della natura secondo la tua poetica?
Le tante “nature” scoperte, visitate e assorbite sono state il sorprendente scheletro che a poco a poco mi hanno rivestito e, forse, riplasmato: devo anche a queste “scoperte” di umanità complesse e remote (ecco di nuovo l’antropologia – il mio essere poeta).
Di che cosa hai più paura? E come riesci a fronteggiare la tua paura?
Assuefatto –per educazione, istinto ed eventi eccezionali– a guardare dietro le cose e dentro di me, ho imparato presto a fronteggiare la paura del vivere e rispondere a modo mio alle domande impossibili. Ma non sono poi un insensibile superuomo: un giorno, forse, cederò alla Paura.
Quali pensi siano le paure dell’uomo del terzo millennio?
Apparentemente nessuna: distratti dai consumi e da chi controlla i mezzi di comunicazione, sfuggiamo ai grandi problemi e ci riduciamo ad automi soli e senza noi stessi.
Dimmi una frase che ti somiglia. Anzi un verso!
“Procedere,Gilberto, senza perdersi,
Ora che fermarmi non saprei…”
La donna rappresenta una realtà da vivere, un sogno da sfiorare con il pensiero, l’altrove per eccellenza?
Le donne (ma odio le generalizzazioni del tipo Uomo/Donna) sono nel complesso un “altrove”, un altrove che, se responsabilmente convissuto, può addolcire e arricchire.
Cosa significa amare?
Amare: ecco un significante ricco di significati e quotidianamente abusato. Ma se alludiamo ad un sentimento vissuto senza inganni, può diventare ragione di vita (o di morte).
La tua vita somiglia alle tue poesie? Il tuo mondo poetico è stato prima o dopo il tuo mondo reale?
Ho impiegato decenni perché la mia vita e il mio mondo poetico diventassero un tutto unico. Sento che oggi questa sovrapposizione è compiuta e mi fa più ricco.
È meglio aggrapparsi alle stelle oppure guardare sempre, ai propri piedi, il terreno sul quale si cammina? Vale la pena sognare? Sognare è necessario, ma sentendo sotto i propri piedi un terreno con cui interloquire con positiva coscienza.
Ritiene che oggi la poesia possa di nuovo emergere, pensa che una nuova ondata di poesia romantica possa contrapporsi allo sfacelo sentimentale che vive la società di oggi?
Nella palude sguaiata e volgare della società odierna, nella fredda età della comunicazione telematica, potrebbe affiorare il miracolo della poesia romantica e trovare nuovi e convinti consensi. Immergiamoci perciò / in un mare di affetti / e una barriera fingiamo / di variopinti coralli, / ignorando l’insabbiatura / che sa di eterno/ nella distesa di morti fiori./.Questa poesia” Meglio ronzare” l’ho scritta lo scorso anno nel maggio 2011. Questa esigenza sentimentale insopprimibile nell’essere umano già bussava con vigore nella contemplazione delle umane sconcezze che la televisione ci inviava ogni sera come uno schiaffo sulle nostre mense.
E più avanti nel giugno 2011 ho scritto: “Solo donando/ solidali affetti/scambieremo da fratelli/l’unica ragione di luce./nell’opaco orizzonte./E noi soli mai:/non siamo stelle/”.
Ma possiamo anelare al cielo, sentire, come lo sentiamo ogni giorno, il peso del fango, della melma di una società in disfacimento. Una mia raccolta di poesia si chiama proprio “A cielo aperto”.
Possiamo volare anche senza avere le ali. La poesia da sempre è capace di compiere questo miracolo.
Abbiamo analizzato fino ad ora te stesso, ho cercato di liberare nelle risposte il messaggio della tua poetica , insomma ho cercato di fotografare il senso del tuo poetare. L’oggetto della mia indagine (fatta con una rosa in mano invece del microfono come dici tu) è stato il tuo modo particolare di esistere e le tue capacità e potenzialità di risposta alle sollecitazioni dell’ esterno, della vita.
“Le interviste con la rosa in mano”, dovresti chiamare così queste tue interviste. Mi piace essere capito, compreso. Ma l’incontro deve avvenire con rispetto e capacità di scandaglio nello stesso tempo. Un rispecchiarsi nelle tue domande che non hanno nessun intento malevolo ma solo un… profumo di civiltà
Va bene accetto il consiglio dell’antropologo-poeta! Ma andiamo avanti, vorrei ora spostare l’interesse fuori dal tuo personaggio ed incentrare l’attenzione sulle tue ricerche. Mi riferisco ad esempio alla tua ricerca più interessante. E’ nota la tua interpretazione del vaticinio dantesco che riguarda il Veltro. Vuoi illustrarcela?
E’ stato detto che Dante, nel comporre la trama del suo provvidenziale “volo”poetico , usava formulare enigmatiche profezie che risultassero volutamente oscure e deliberatamente ,male decifrabili. E questo è spiegato con l’adeguarsi di Dante al “genere” profetico. Del resto l’estetica due-trecentesca non era aliena dal considerare un imperativo dell’artista quello di adeguare il lessico e lo stile alla natura degli argomenti trattati. Ma ritengo che le “profezie” della Divina Commedia devono essere decifrabili in quanto ad esse Dante si affida per ‘proporre agli uomini di buona volontà , il messaggio della palingenesi. Certamente sto sorvolando in sintesi concetti che sono oggetto di lunghissimi e approfonditi studi. Dunque le mie tesi di possibilità di decifrare alcune profetiche posizioni di Dante sono state anche fortemente dibattute. Si potrebbe scrivere un libro su questi eventi di studio. E certo non è questa la sede per un approfondimento che è possibile fare attraverso i miei libri. Ma mi è possibile esprimere l’intuizione che maggiormente si evidenzia necessaria e illuminante per la nostra epoca travagliata. L’intuizione di Dante che la cultura , lo studio, la conoscenza saranno l’unico possibile baluardo ad una fine ingloriosa dell’umanità.
L’incontro fra Dante e Virgilio dà luogo a una delle profezie che più hanno impegnato i commentatori della Commedia. Il Poeta, incalzato dalla lupa, ossia dalla più temibile delle tre fiere riceve da Virgilio questa enigmatica indicazione :” Molti son gli animali a cui si ammoglia/e più saranno ancora, infin che ‘l Veltro/ verrà, che la farà morir di doglia! / Questi non ciberà terra né peltro,/ ma sapienza, amore e virtude, / e sua nazion sarà tra feltro e feltro.(Inf. I,100-105) .
Le interpretazioni sono state moltissime. Ma attenendoci al significato della parola feltro , ed analizzando gli usi e consuetudini del feltro nell’epoca di Dante ( anche in questa fase sto sintetizzando in poche scarne parole pagine e pagine di studi approfonditi) riusciamo alla fine a capire che tra feltro e feltro vuol dire tra foglio e foglio e che il Veltro è il LIBRO per eccellenza. E’ insomma il vile feltro ad essere impiegato nella fase finale della produzione della carta .Tra feltro e feltro trovava suggello adeguato al foglio, che risultava pronto a registrare ciò che AMORE detta al poeta. Chi dunque perseguiterà la smodata bramosia dei beni terreni (radice di tanta corruzione) sarà la voce poetica di Alighieri : e questi si accinge a seguire Virgilio ( “ond’io per lo tuo me’ penso e discerno / che tu mi segui, e io sarò tua guida”), perché la sua denuncia – voluta da Dio e messa adeguatamente per iscritto – risulti efficace e documentata agli occhi (e alla coscienza) dei lettori.
Mi sembra che non ci sia molto da aggiungere. La potenza della cultura si esprime in tutti i suoi significati più profondi. ”Fatti non foste a viver come bruti / ma ad inseguir virtute e conoscenza”.
Il futuro dell’umanità è oggi sull’orlo del precipizio e la lupa ci guarda ormai a piccola distanza.
Solo la cultura, il Libro, un nuovo Umanesimo insomma ci potrà salvare dal precipizio. Anche perché alle tre fiere dantesche si sono aggiunti animali temibili e sconosciuti. E’ necessario rileggere Dante, illustrare ai giovani, ma dico su larga scala non solo nelle università, la voce di Dante. Educare alla conoscenza, all’arte. Riaprire il discorso sui valori dell’umano.
Dall’adorazione del Vello d’oro al Veltro?
E’ l’unico percorso possibile per salvarci.
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Gilberto Mazzoleni, laureato in Lettere con lode (la tesi vinse il premio Marzotto nel 1963) è stato Docente di Religioni dei popoli primitivi (1972-1998) e titolare della cattedra di Storia delle religioni (1998-2008) presso l’Università La Sapienza di Roma. Nel corso di 45 anni di insegnamento è stato collaboratore e coordinatore di numerose missioni di ricerca all’estero: Messico, Lapponia, Argentina, Brasile,Cuba e Perù. Ha tenuto numerose lezioni magistrali presso università italiane e all’estero. Vicepresidente dell’AISEA (Associazione Italiana di Scienze etnoantropologiche) dal 1996 al 1998 e Presidente del biennio specialistico in Scienze Storico religiose presso la Facoltà di Scienze umanistiche, ha conseguito numerosi premi tra i quali il Premio Internazionale Pitrè e il Premio Unesp di Antropologia a San Paulo. Saggista, promotore culturale, studioso di teatro, poeta molto apprezzato, dirige numerose collane editoriali e collabora a molti periodici scientifici italiani e stranieri. È stato vivamente interessato all’analisi in divenire di una identità “occidentale” ed ai conflitti interculturali, poi è approdato ad una stimolante rilettura di personaggi “consacrati” e di episodi storici “esemplari”.
I SEMI DA CONSERVARE
Abbiamo ricordato due presenze importanti nella storia del Premio “Le rosse pergamene”.
Noi che restiamo ne riceviamo un’eredità culturale preziosa che diventa
sprone a percorrere la strada dei valori autentici. La cultura, lo studio, scaldati dall’umanità dei cuori. E’ proprio questa vicinanza delle anime, che travalica lo spazio ed il tempo dell’umana esistenza, che ci permette oggi di dialogare con loro e con la poesia che hanno lasciato come se fossero presenti in una stretta di mano universale.
I semi migliori della terra non possono andare persi nel vuoto, nel nulla, nelle frettolose dimenticanze.
(Premio “Una donna per la cultura” al Premio Le rosse pergamene 2012)
FRANCESCA DI CASTRO
L’ULTIMA SEMENZA
Questa è la notte della luna piena
che illumina la terra come sole:
su tutti inesorabile è la Luce
che nell’attimo estremo della fine
saprà di ognuno il nome e la sua gente.
Io guardo sulla terra in un momento
gente che grida, piange, si lamenta:
mani di bimbi aperte ed in attesa,
mani di madri tese senza niente,
mani di vecchi che hanno lavorato,
mani gelate riarse rinsecchite,
mani rugose stanche abbandonate,
mani congiunte per un sorso d’acqua,
mani ruvide che alzano la zappa
ed altre mani strette sui fucili
che fanno strazio della brava gente…
Schiantato al suolo è l’Albero del Bene,
è disseccata anche l’ultima radice
e il sole inesorabile la passa
come un setaccio per filtrare l’oro.
Nel solco reso bianco dalla luna
cerca la Luce l’ultima semenza
e tra le zolle di una terra muta
ancora Dio rinnoverà la vita.
UMBERTO BERNABAI
della Giuria del Premio Le rosse pergamane
L’UOMO E LA PIANTA
Solenne nella sua statura
sta il platano romano nella piazza
a salutar con le palmate foglie
l’assorto viandante sotto lieve brezza.
L’enorme tronco è suddiviso in rami,
sempre più numerosi e snelli
fino ai minuti arbusti di periferia,
a cercar di luce un raggio per sua vita:
così nella lotta equilibrata e muta
ove s’insinua un ramo, altro non v’entra.
Quanta pace dall’armonia raggiunta
tra i diversi elementi d’un sol ceppo!
Quanto diverso dall’umano genere,
di stesso Creator figli rissosi,
che, al posto d’operar fruttuoso accordo
all’obiettivo del comune bene,
vanifican i doni della conoscenza
in armi di sterminio e di terrore,
più che in mezzi di sopravvivenza.
Roma, 03.09.2004
Le suddivise fronde dell’albero nella crescita si protendono verso l’esterno alla ricerca della luce, in muta armonica lotta per la loro sopravvivenza e per quella dello stesso albero. L’uomo, pur consapevole di eterne leggi universali e figlio di esse, sfrutta ancora male la scienza in guerre fratricide con il rischio della sua stessa estinzione.
Pubblicata su Le Pagine del Poeta – Eugenio Montale – 2006 . PAGINE Ed.
(Le rosse pergamene OMAGGIO ALLA CARRIERA per il 2013)
LUISA GORLANI
NON AGGIUNGERE DOLORE AL DOLORE
Beve la terra la sua condanna al calice
amaro del dolore fiele di fame e fatica
miseria e malattia tirannia del fato
Non aggiungere dolore al dolore
versando nella coppa già satura vetriolo
di violenza e vessazione
cianuro d’intolleranza e cinismo
arsenico d’autodistruzione
Ritorna e bevi alla sorgente
Cammina felice d’essere
creatura viva ed umana
Respira la chiarità dei cieli
Sorridi agli uccelli ai tuoi fratelli
Da “Lunazioni”,
Ed. Scettro del Re , 2000
Premio Fiori dalla Pace
Basilica Santa Maria degli Angeli
ARMIDA AGNELLI
CERCANDO LA PACE
Stanotte ho fatto un sogno :
ero lungo una strada alberata
insieme a tanta gente;
e tutti cercavano una via, la stessa via : via della Pace.
E nessuno però riusciva mai a trovarla.
Tanbte le strade viste :
via dei rancori, via dei dolori, via della guerra,
ma quella proprio no.
Sapevamo tutti che era vicino a piazza dell’amore,
dietro quel vicolo di via della speranza…
E mi ricordo in sogno l’affanno, il desiderio
di poterla trovare.
Ed eravamo in tanti,
tutti fratelli insieme d’ogni razza e colore.
E ci spingeva, in marcia, la voglia di arrivare
“Vedrai, disse un fratelo,
che uniti la troviamo!”
E poi mi son svegliata.
Ma il sogno mio rimane, e lo racconto a Voi
Potenti della terra…
perché domani il sogno diventi la realtà.
Mi piace chiudere questa prima pubblicazione del Blog “Il pane necessario”
con la poesia che scrissi nel lontano 1999 per Giovanni Paolo II
all’apertura della Porta Santa.
IL PELLEGRINO DEL PLENILUNIO
(Dicembre 1999. L’ultima luna piena la notte dell’apertura della
Porta Santa da parte di Giovanni Paolo II )
Questa notte la luna
non ha voluto ombre
sui gradini
davanti alla porta
accompagna il Pellegrino poverello
per annunciare nuovi percorsi
aprire spiragli
ai titubanti viandanti
del mondo.
Anche Tu Pellegrino
sei stella cometa
nel buio siderale
dei cuori
di fine millennio.
Sfinito d’amore
hai piegato il mantello
in ginocchio
tra danze di popoli in festa.
Altro oro
dal metallo che fonde
quello che avvolge il tuo manto.
Abbracciato dall’astro che brilla
sembri fondere
con i fili della luna
il futuro di tutte le genti
in una coesione celeste
che regge alle fiamme.
Altra luce da quella
del fuoco
che fa divampare le guerre
quella dei tuoi occhi fanciulli
che vuole aprire le porte
delle solitudini umane
Ti preghiamo
dacci umili parole
e grandi sogni
per raccontare la Pace
per spegnere le guerre
per accendere di nuovo la vita
e sfidare la morte…..
La poesia , pubblicata in prima stesura, è tratta dal libro-mignon “Umili parole e grandi sogni-Cinque poesie per tre pontefici”, Nemapress, 2013.